Brescia si è tinta di rosa a fine settembre per l’undicesima edizione della Race for the Cure, l’evento simbolo della lotta contro il tumore al seno organizzato dal Comitato Lombardia Komen Italia, guidato dalla dottoressa Alessandra Huscher, Direttore dell’Unità Operativa di Radioterapia Oncologica di Fondazione Poliambulanza e Responsabile della Breast Unit.

Nata come corsa dedicata alla prevenzione del tumore della mammella, la Race negli anni si è trasformata in un appuntamento più ampio, capace di abbracciare la salute a 360 gradi e di coinvolgere l’intera comunità. L’edizione 2025 ha superato ogni aspettativa, con 11.000 partecipanti che hanno riempito le strade della città «Abbiamo voluto avvicinare la salute alle persone» spiega la dottoressa Huscher «mettendo al centro non solo la prevenzione oncologica, ma anche il benessere fisico e mentale, con un’attenzione particolare ai diversi bisogni del territorio».
Tre giorni di prevenzione e salute a Brescia
La manifestazione, articolata in tre giornate, ha alternato momenti di informazione, sport, confronto e solidarietà. I primi due giorni sono dedicati alla promozione della salute, con un programma costruito in collaborazione con le realtà sanitarie del territorio: visite senologiche, ginecologiche e di flebologia, screening per l’osteoporosi, valutazioni geriatrico-neurologiche, consulenze su alimentazione e attività fisica, e perfino un’area vaccinale aperta al pubblico. Una delle novità più significative di quest’anno è stata l’attenzione al benessere mentale e alle neurodivergenze, affrontate in un incontro rivolto agli studenti delle scuole. I temi di autismo, ADHD, neurodivergenze, gestione dell’ansia e uso consapevole dei farmaci sono stati trattati con linguaggio accessibile, generando momenti di confronto autentico. «Ci ha colpito molto la reazione dei giovani», racconta la dottoressa Huscher, in particolare di chi dopo una testimonianza sull’ADHD, ha preso la parola dicendo: “Allora non sono l’unica”. «Questi sono i momenti che danno un senso puntuale a tutto il lavoro fatto per realizzare questo evento». Nei giorni, tra attività sportive e testimonianze, Campo Marte è diventato un laboratorio di comunità, dove si è parlato anche di violenza di genere e di anche come gli spazi della Race possano diventare luoghi di ascolto e fiducia. Il progetto “Insieme per gli Screening” ha inoltre coinvolto le comunità straniere per una più capillare informazione sulla prevenzione oncologica. Oltre 300 volontari hanno contribuito a rendere possibile ogni attività, con un entusiasmo che, come sottolinea la dottoressa Huscher, «non conosce screzi né stanchezza, ma solo la gioia di fare insieme».
La domenica, cuore pulsante dell’evento, ha visto il grande corteo delle maglie rosa, indossate dalle donne che hanno affrontato o stanno affrontando la malattia, accompagnate da familiari e amici con le magliette bianche. Attorno a loro, una città intera corre. C’è chi partecipa per la propria fidanzata, per la moglie, per la mamma, per una sorella, chi per una collega, chi per un’amica, chi semplicemente per sentirsi parte di qualcosa che unisce. Negli anni, la Race for the Cure è diventata un simbolo di rete, solidarietà e rinascita, un appuntamento capace di superare i confini della malattia per abbracciare la vita in tutte le sue forme.
«Credo che il segreto del successo sia il fattore umano. Ognuno porta con sé una storia, un motivo per esserci. E alla fine è questo intreccio di esperienze che rende la Race un evento che cura, nel senso più profondo del termine».
Dalla corsa alla cura: dentro al reparto di Radioterapia di Poliambulanza
Se Race for the Cure rappresenta l’anima comunitaria del suo impegno, per la dottoressa Alessandra Huscher Poliambulanza è il luogo dove questa visione prende forma ogni giorno. Come Direttore della Radioterapia Oncologica e Responsabile della Breast Unit dell’ospedale bresciano, guida reparti che uniscono tecnologia, competenze e umanità. «La nostra è una realtà molto tecnica», racconta, «ma la parte più rilevante è la personalizzazione dei trattamenti. Ogni paziente è diverso, ogni giorno è diverso e la nostra attenzione è tutta sul comfort e sulla qualità della relazione di cura». La Breast Unit di Poliambulanza è una struttura multidisciplinare in cui chirurghi, oncologi, radioterapisti, radiologi, psicologi e infermieri collaborano in modo integrato per garantire percorsi personalizzati e coordinati. «Non esiste più una patologia che possa essere affrontata da una sola specializzazione. Il lavoro di squadra è la chiave. È un modello che funziona, e che deve essere esteso a molte altre aree della medicina».
Al centro, sempre, la dimensione umana del lavoro sanitario. La dottoressa non nasconde le difficoltà che oggi attraversano le professioni mediche e tecniche, soprattutto per la carenza di giovani interessati a intraprendere questo tipo di carriera: «Siamo noi in primis quelli che forse sbagliano. Una volta era un orgoglio scegliere la Sanità, oggi troppo spesso si parla solo degli aspetti negativi della nostra professione. C’è anche un tema culturale che pesa, dovremmo ricominciare a raccontare la bellezza del nostro lavoro».
Nel suo racconto torna spesso il concetto di rete: la stessa che sostiene la Race for the Cure, ma anche quella che lega i reparti, i professionisti e i pazienti di Poliambulanza. «Io faccio quello che faccio perché ho una squadra straordinaria, fatta di professionalità diverse, molte delle quali magari poco note alla gente, persone giovani e meno giovani, che ogni giorno mettono passione e competenza al servizio degli altri. È questo che fa la differenza».
E così, dall’asfalto della corsa alle corsie dell’ospedale, emerge una visione coerente: la cura come atto collettivo, la salute come responsabilità condivisa. La Race for the Cure e Poliambulanza, in fondo, raccontano la stessa storia — quella di una comunità che non smette mai di correre e camminare verso il futuro, insieme.