Ci sono legami che non si misurano in appuntamenti né in cartelle cliniche. Nascono da un incontro – magari in un ambulatorio, magari con un bambino di tre anni – e si rafforzano giorno dopo giorno, lungo un percorso di cura che diventa vita condivisa. Così è cominciata la storia tra Edoardo e Danila Maculotti, case manager dell’ambulatorio stomizzati di Fondazione Poliambulanza. E così continua ancora oggi, diciotto anni dopo, come un filo tenace che resiste al tempo, alle paure, ai cambiamenti.

«Quando è arrivato in ambulatorio, Edoardo aveva tre anni. Era piccolissimo, reduce da una lunga ospedalizzazione, e io ero all’inizio del mio percorso con i pazienti pediatrici», racconta Danila. «Mi sono preparata come potevo: ho cercato di rendere lo spazio più accogliente, ho portato dei piccoli oggetti, dei colori. Ma sapevo che avrei dovuto mettere le mani su quella pancia ferita, toccare la sua stomia. E questo, con un bambino, è diverso. Serve tempo. Ci ho messo due ore per riuscirci».
A Edoardo era stata diagnosticata una rara malattia congenita, il morbo di Hirschsprung, che aveva richiesto diversi interventi chirurgici e aveva comportato la creazione di una stomia. Una condizione invisibile, ma profonda, capace di modificare radicalmente il modo in cui si cresce, si gioca, si guarda il mondo. «Ma da quel giorno», continua Danila, «abbiamo cominciato a camminare insieme. Perché non mi piace dire che il paziente è “al centro”. La verità è che si cammina fianco a fianco, con fiducia reciproca».
Oggi Edoardo ha ventun anni, è uno studente universitario, ha una fidanzata, gioca a tennis e a calcio, va in piscina, gira per la città con la sua Peugeot. E lo dice con serenità: «Non ho mai vissuto la stomia come un limite. Per me è sempre stata parte di me. Non ho mai avuto vergogna. Da bambino magari mettevo la muta per proteggermi, su consiglio dei miei genitori. Ma io volevo toglierla. Volevo sentirmi libero. E oggi mi basta una fascia: protegge dove serve e mi lascia fare tutto il resto».
Accanto a lui c’è sempre stata sua madre, e accanto a entrambi, sempre, Danila. «La chiamavamo anche di notte, nei momenti più difficili. Non ci ha mai lasciati soli», racconta la mamma con voce emozionata. «Io ero completamente impreparata, non sapevo da dove cominciare. A disturbarmi non erano gli sguardi dei bambini, ma quelli insistenti degli adulti, che non capivano. Danila invece sì. Sapeva sempre cosa dire, come spiegare. È stata la nostra sicurezza».
Quella che emerge dal loro racconto non è solo una relazione terapeutica, ma una forma di alleanza profonda, costruita su empatia e presenza costante. «Io ho scelto di lavorare in Poliambulanza proprio per la sua missione», spiega Danila. «Sono arrivata nel 1997 e ho trovato un luogo dove la persona è davvero al centro. La tecnologia è fondamentale, ma non basta. Servono ascolto, umanità, continuità. Ho visto primari sedersi sul letto del paziente, prendergli la mano. Questo è ciò che conta».
È una visione di cura che si riflette anche nell’innovazione quotidiana. Negli anni, i dispositivi per la gestione della stomia si sono evoluti: oggi ci sono presidi personalizzabili, con materiali che proteggono la pelle e migliorano la qualità della vita. Alcuni contengono persino miele di manuka, con proprietà antinfiammatorie naturali. «La stomia cambia con la persona», spiega Danila. «Il corpo si trasforma, cresce, prende peso, lo perde. E con esso cambiano le esigenze. Oggi ogni paziente può scegliere il presidio più adatto al proprio stile di vita».
Ma non basta la tecnica. Serve raccontare, far sapere. Perché, come ricorda Edoardo, «la stomia è una disabilità invisibile. Non si vede. E proprio per questo molti fanno fatica a capirla». Da qui sono nati progetti che hanno lasciato il segno: l’installazione di bagni accessibili e dedicati, in ospedale e nei locali pubblici di Brescia; le campagne di sensibilizzazione realizzate con FAIS (Federazione Associazioni Incontinenti e Stomizzati); una mostra fotografica in cui i pazienti hanno deciso di mettersi in gioco, mostrarsi a torso nudo, con la stomia in vista. «Un atto di coraggio e di bellezza», dice Danila. «Perché la dignità non si misura con il silenzio, ma con la capacità di raccontarsi».
«Sento che c’è ancora troppa poca informazione», prosegue. «Nessuno ha problemi a dire “ho superato un tumore al seno”. Ma se hai una stomia, se sei incontinente, sembra qualcosa di cui vergognarsi. E invece è solo una condizione. Non ti toglie niente, anzi: se affrontata con consapevolezza, può darti forza, autonomia, libertà».
Oggi Edoardo è anche un esempio di tutto questo. Partecipa a eventi, presta il volto alle campagne, aiuta gli altri pazienti a sentirsi meno soli. «Camminare insieme», dice ancora Danila, «vuol dire anche accompagnare qualcuno fino a quando sarà lui a prendere il testimone, a diventare guida per altri. Ecco, Edoardo oggi è anche questo».
In fondo, è questo lo spirito che abita Poliambulanza. Una cultura della cura che nasce dal desiderio di non lasciare indietro nessuno. «La cosa più importante», conclude la madre di Edoardo, «non è evitare i problemi, ma trovare chi ti aiuta ad affrontarli. Noi abbiamo trovato Danila. E questo ha fatto la differenza».
Una differenza che, ancora oggi, continua a camminare accanto a loro.